domenica 30 agosto 2009

JULES VERNE : ENERGIA ED ECOLOGIA



Qualcuno potrà pensare: cosa c'entra Verne con la storia? Semmai ha a che fare con la letteratura o al più con la scienza. La storia però è fatta dai popoli e i popoli organizzano la loro esistenza e la loro attività produttiva secondo rapporti che hanno molto a che fare con la scienza, la sua evoluzione e le sue scoperte. Ma Verne, si dirà, non è un autore per ragazzi, quale mai può essere la sua importanza storica e perchè mai dovrebbe anch'egli essere oggetto di censure o voluti o inconsci fraintendimenti? Eppure, per quanto possa sembrare strano,è così.


Spesso i libri di Verne vengono, come si suol dire, "ridotti" per i ragazzi. E' indiscutibile che si tratta di opere che hanno notevole valore educativo per i giovani, ma queste "riduzioni" o i silenzi su loro parti essenziali non sono senza motivo. Come in molti altri libri famosi che vengono spesso ripresi per la loro trama, ma di cui si dimentica lo spirito di fondo (valga per tutti "I miserabili" di Victor Hugo), anche sulle ragioni della visione futuristica di Verne, considerata secondo canoni di letteratura fantastica, per lo più si tace.


Non v'è dubbio che lo scrittore francese sia partecipe a pieno titolo della visione c.d. positivista e comunque progressista ed evoluzionista dell'Ottocento, ma accade che questa visione, coerente con la fase di sviluppo impetuoso delle forze produttive indotto dal capitalismo nella sua fase espansiva, venga fraintesa e considerata come infantilmente e semplicisticamente ottimista.


Spesso invece la verità è proprio l'opposto: siamo noi infantili, che ci perdiamo in stupide paccottiglie televisive e in gossip senza senso oltrechè in pregiudizi e dogmi che dovrebbero da tempo essere superati, mentre gli artisti e gli scienziati dell'Ottocento hanno dedicato tutta la vita con estrema serietà allo sviluppo della cultura, di cui ci hanno lasciato straordinari tesori in tutti i campi, dall'economia alla politica, dalla musica alla biologia, dalle scienze alla letteratura.


Ma, si obietterà, il nostro autore aveva una visione lineare del progresso scientifico legato a quello sociale, mentre la storia ha dimostrato nel suo evolversi che ciò non è avvenuto; anzi, il progresso scientifico ha spesso portato con sè disastri spaventosi ed ora siamo di fronte persino al rischio di una catastrofe ecologica mondiale. E' vero, ma era quello che Verne auspicava o il contrario? E su cosa di Verne si tace ? Guarda caso, proprio sul futuro (reale, non fantastico) che auspicava e che la nostra classe dirigente vorrebbe far dimenticare per nascondere il fatto che la visione razionale di Verne contrasta inevitabilmente con le scelte totalmente irrazionali che sono state fatte sul piano scientifico ed ecologico negli interessi della classe dominante, o addirittura di settori limitati della stessa borghesia capitalistica.

L'idea ecologica ed energetica dello scrittore francese si desume da molti suoi romanzi, ma in primo piano vanno considerati quelli (come L'isola misteriosa, Ventimila leghe sotto i mari, Mattia Sandorf ed altri) in cui si ritorna con varianti sul tema dello sfruttamento razionale ed autosufficiente delle risorse. I coloni dell'isola, come il Nautilus del capitano Nemo o l'isola Antekirrta di Mattia Sandorf devono basarsi sulle risorse che la natura mette a disposizione senza mai distruggere l'ambiente, la cui sopravvivenza e il cui miglioramento sono essenziali per l'organizzazione della vita. Esemplare è l'Isola misteriosa in cui Cyrus Smith e i suoi compagni traggono dal nulla con la sola forza derivante dalla conoscenza le risorse per vivere mantenendo e migliorando gli equilibri ambientali. L'energia è sempre ricavata dalle forze naturali dell'isola o del mare. Alla base della vita è sempre la razionalità scientifica intesa in senso costruttivo.

Anche la caccia o l'allevamento a scopo di procurare cibo non tendono mai alla distruzione delle specie, ma semmai al loro accrescimento proprio per accrescere le risorse alimentari.

Sopra tutto, predomina l'idea che l'energia elettrica, la più pulita, è quella del futuro ed è in grado di garantire i bisogni dell'umanità nel modo migliore.

Verne aveva scritto le sue opere prima di conoscere i disastri ambientali conseguenti a scelte ecologiche errate successivamente scoperti (es. isola di Pasqua) e per questo la sua visione risulta ancora più attuale. E' chiaro ormai a tutte le persone intelligenti che solo un sistema economico in grado di rispettare gli equilibri ecologici della natura può garantire la sopravvivenza dell'umanità. Eppure la politica delle classi dirigenti, ispirata unicamente al massimo profitto di pochi, nonostante gli ammonimenti degli scienziati continua imperterrita nell'irrazionale opera di distruzione, di cui l'esempio più evidente è dato dal persistente predominio assoluto, nonostante tutte le evidenze, del sistema energetico basato sul petrolio e sui combustibili fossili. Il perchè è chiaro: se si accede all'idea di un sistema energetico decentrato, controllato dal basso dai produttori in una rete mondiale, tutti i privilegi e i poteri derivati dalla concentrazione e centralizzazione mondiale del capitalismo, causa prima della situazione attuale, verrebbero messi in forse. D'altra parte il decentramento energetico è una reale alternativa positiva e costruttiva al sistema attuale, che fa paura proprio per questo. Così siamo in piena crisi energetica ed ecologica, in corrispondenza con quella economica gravissima e senza che si riesca ancora a capire che non si esce dall'una senza risolvere anche le altre, pena il rischio di estinzione.

Vi è chi parla di stabilire colonie sulla Luna e su Marte. E' chiaro a tutti che queste colonie sarebbero possibili solo dove vi sia acqua congelata, perchè dall' acqua, per mezzo dell'energia solare e col ciclo dell'idrogeno (che ricavato dall'acqua tramite l'energia del sole produce di nuovo vapore acqueo ed elettricità nelle fuel cells), è possibile ricavare tutta l'energia necessaria senza modificare un equilibrio al limite della sopravvivenza. Questo è chiaro per Marte ma si dimentica completamente sulla Terra, in un trionfo orgiastico di stupidità collettiva indotta.

Impariamo allora da Jules Verne, che scriveva circa 150 anni fa in un'epoca in cui i problemi ecologici dei gas serra non erano neppure immaginabili. Per questo voglio riportare una pagina che giustamente Jeremy Rifkin ha ricordato e la cui preveggente attualità è straordinaria. Si tratta di un dialogo fra i coloni dell'Isola misteriosa sulle prospettive energetiche dell'umanità del futuro.


"Un giorno, Gedeon Spillett fu spinto a chiedergli : ma, alla fine, mio caro Cyrus, tutto questo movimento industriale e commerciale che voi predite in progressione costante, non potrebbe correre il rischio di essere fermato, prima o poi ? -Fermato, e perché ? -Ma per la mancanza di carbone, che può essere giustamente ritenuto il più prezioso dei minerali ! -Sì, il più prezioso in effetti, rispose l’ingegnere, e sembra che la natura stessa abbia voluto considerarlo tale facendone derivare il diamante, che non è altro che carbone puro cristallizzato. -Non vorrete mica dire, signor Cyrus, riprese Pencroft, che si brucerà diamante al posto dell’olio, nei fuochi delle caldaie ? -No, amico mio, rispose Cyrus Smith. -Tuttavia insisto, riprese Gedeon Spillett, voi non negate che il carbone un giorno sarà interamente consumato ? -Oh! I giacimenti carboniferi sono ancora considerevoli e i centomila operai che estraggono da essi annualmente cento milioni di quintali non sono certo vicini ad averli esauriti ! -Con la proporzione costante di consumo del carbone della terra, rispose Gedeon Spillett, si può prevedere che centomila operai saranno ben presto duecentomila e che l’estrazione sarà raddoppiata ? -Senza dubbio, ma, dopo i giacimenti d’Europa che nuove macchine permetteranno di sfruttare più a fondo, i giacimenti d’America e di Australia ne forniranno ancora a lungo per il consumo industriale. -Quanto a lungo? domandò il giornalista. -Almeno duecentocinquanta o trecento anni. -E’ rassicurante per noi, rispose Pencroft, ma inquietante per i nostri discendenti. -Si troverà qualcos’altro, disse Harbert. -Bisogna sperarlo, rispose Gedeon Spillett, dato che alla fine senza carbone non vi sono macchine, e senza macchine non vi sono ferrovie, battelli a vapore, fabbriche, più nulla di ciò che richiede il progresso della vita moderna ! -Ma cosa si troverà´domandò Pencroft. -Potete immaginarlo, signor Smith ? -Pressappoco, amico mio . -E cosa si brucerà al posto del carbone ? - L’acqua, rispose Cyrus Smith. -L’acqua, gridò Pencroft, l’acqua per scaldare i battelli a vapore e le locomotive, l’acqua per scaldare l’acqua ! -Sì, ma l’acqua decomposta nei suoi elementi costitutivi, rispose Cyrus Smith, e decomposta senza dubbio per mezzo dell’elettricità, che sarà divenuta allora una forza potente e maneggevole, dato che tutte le grandi scoperte, per una legge inesplicabile, sembrano convergere e completarsi nelo stesso momento . -Sì, amici miei, io credo che un giorno l’acqua sarà impiegata come combustibile, che l’idrogeno e l’ossigeno, che la compongono, utilizzati separatamente o simultaneamente, forniranno una fonte di calore e di luce inesauribili e di una intensità che il carbone non potrà dare. Un giorno, le stive delle navi e i depositi delle locomotive saranno caricati, in luogo del carbone, di questi due gas compressi, che bruceranno con una enorme potenza di calore. Dunque, nulla da temere. Finchè questa terra sarà abitata, sopperirà ai bisogni dei suoi abitanti, e ad essi non verranno a mancare mai né luce, né calore, così come non verranno a mancare le produzioni del regno vegetale, minerale o animale. Io credo dunque che quando i giacimenti di carbone saranno sfruttati, ci si scalderà con l’acqua. L’acqua è il carbone dell’avvenire . -Vorrei vedere tutto questo, disse il marinaio"

venerdì 21 agosto 2009

VICTOR HUGO COMMEMORA VOLTAIRE




IL CENTENARIO DI VOLTAIRE (30 maggio 1878)
DISCORSO PER VOLTAIRE DI VICTOR HUGO
Cent’anni fa un uomo moriva. Moriva immortale. Se ne andava carico di anni, carico di opere, carico della più illustre e terribile responsabilità, la responsabilità della coscienza umana avvertita e resa consapevole. Se ne andava maledetto e benedetto, maledetto dal passato e benedetto dall’avvenire, e sono queste, signori, le due forme superbe della gloria. Al suo letto di morte aveva da un lato l’acclamazione dei contemporanei e dei posteri, dall’altro il trionfo delle urla e dell’odio che il passato implacabile riserva a coloro che lo hanno combattuto. Era più di un uomo, era un secolo. Aveva esercitato una funzione e compiuto una missione. Era stato all’evidenza scelto per l’opera che aveva compiuto dalla suprema volontà che si manifesta in maniera così visibile nelle leggi del destino e nelle leggi della natura. Gli ottantaquattro anni che quest’uomo ha vissuto occupano l’intervallo che separa la monarchia al suo culmine dalla rivoluzione alla sua aurora. Quando nacque regnava ancora Luigi XIV, quando morì regnava già Luigi XVI, cosicchè la sua culla potè vedere gli ultimi raggi del grande trono e il suo feretro i primi bagliori del grande abisso.
Prima di proseguire intendiamoci, signori, sulla parola abisso; vi sono abissi buoni: sono gli abissi dove sprofonda il male.
Signori, dato che mi sono interrotto, consentite che completi il mio pensiero. Qui non sarà pronunciata alcuna parola imprudente o malsana. Noi siamo qui per fare un atto di civiltà. Noi siamo qui per affermare il progresso, per dare accoglienza ai filosofi che portano con sé i benefici della filosofia, per apportare al diciottesimo secolo la testimonianza del diciannovesimo, per onorare i magnanimi combattenti e i buoni servitori, per festeggiare il nobile sforzo dei popoli, l’industria, la scienza, l’audace marcia in avanti, il lavoro, per cementarla concordia umana, in una parola per rendere gloria alla pace, questa sublime volontà universale. La pace è la virtù della civiltà, la guerra ne è il crimine. Siamo qui in questo grande momento, in quest’ora solenne per inchinarci religiosamente davanti alla legge morale e per dire questo al mondo che ascolta la Francia: non c’è che una potenza, la coscienza al servizio della giustizia; e non c’è che una gloria, il genio al servizio della verità.
Ciò detto, continuo. Prima della Rivoluzione, signori, la struttura sociale era questa: in basso il popolo; al di sopra del popolo, la religione rappresentata dal clero; a fianco della religione, la giustizia rappresentata dalla magistratura. E, in questa situazione della civiltà umana, che ne era del popolo ? L’ignoranza. Che ne era della religione? L’intolleranza. Che ne era della giustizia? L’ingiustizia.
Vado troppo lontano con le mie parole? Giudicate voi. Io mi limiterò a citare due fatti, ma decisivi.
A Tolosa, il 13 ottobre 1761, si trova nella cantina di una casa un giovane impiccato. La folla si agita, il prete fulmina, la magistratura indaga. E’ un suicidio, si trasforma in un assassinio. Per quale interesse ? Nell’interesse della religione. E chi si accusa ? Il padre. E’ un ugonotto, e ha voluto impedire al figlio di diventare cattolico. Si tratta di una mostruosità morale e di un’impossibilità materiale; non importa! Questo padre ha ucciso suo figlio, questo vecchio ha impiccato questo giovane. La giustizia lavora ed ecco l’epilogo. Il 9 marzo 1762 un uomo dai capelli bianchi, Jean Calas, è condotto su una piazza pubblica, lo si denuda, lo si stende su una ruota, le membra legate all’indietro, la testa pendente fuori. Tre uomini sono là, sul patibolo, un funzionario del capitolo di nome David, incaricato di sovrintendere al supplizio, un prete, che tiene un crocifisso, e il boia, con una sbarra di ferro in mano. Il condannato, stupefatto e terrorizzato, non guarda il prete e guarda il boia. Il boia alza la sbarra e gli spezza un braccio. Il condannato urla e sviene. Il funzionario si dà da fare, si fanno respirare sali al condannato che ritorna alla vita. Allora, nuovo colpo di sbarra, nuovo urlo; Calas perde conoscenza; viene rianimato e il supplizio ricomincia; dato che ogni membro deve essere rotto in due punti, riceve due colpi, in totale otto supplizi. Dopo l’ottavo svenimento, il prete gli offre il crocifisso da baciare, Calas gira il capo e il boia gli dà il colpo di grazia, cioè gli spacca la testa con la grossa estremità della sbarra di ferro. Così morì Jean Calas. Il tutto è durato due ore. Dopo la sua morte, divenne evidente che si era trattato di suicidio. Ma un assassinio era stato commesso. Da chi ? Dai giudici.
Un altro fatto. Dopo il vecchio, il giovane. Tre anni più tardi, nel 1765, ad Abbeville, il giorno dopo una notte di temporale e di grande vento, viene raccolto da terra sul pavimento di un ponte un vecchio crocifisso di legno tarlato che da tre secoli era agganciato al parapetto. Chi ha abbattuto questo crocifisso? Chi ha commesso il sacrilegio ? Non si sa. Forse un passante. Forse il vento. Chi è il colpevole ? Il vescovo di Amiens lancia un proclama. Ecco cos’è un proclama: è un ordine a tutti i fedeli, sotto pena dell’inferno, di dire quello che sanno o che credono di sapere di questo o quel fatto; ingiunzione assassina del fanatismo all’ignoranza. Il proclama del vescovo di Amiens ha il suo effetto; l’esagerazione dei pettegolezzi prende le proporzioni della denuncia. La giustizia scopre, o crede di scoprire, che nella notte in cui il crocifisso era stato gettato a terra, due uomini, due ufficiali, chiamati uno Labarre e l’altro d’Etallonde, erano passati sul ponte di Abbeville, che erano ubriachi e che avevano cantato una canzone del corpo di guardia. Il tribunale era il siniscalcato di Abbeville. I siniscalchi di Abbeville sono dello stesso genere dei funzionari capitolari di Tolosa e non sono meno giusti. Si spiccano due mandati di arresto. D’Etallonde scappa, Labarre è preso. Lo si consegna all’istruttoria giudiziaria. Egli nega di essere passato sul ponte, confessa di avere cantato la canzone. Il siniscalcato di Abbeville lo condanna; egli fa appello al parlamento di Parigi. Lo si conduce a Parigi dove la sentenza è considerata valida e confermata. Lo si riconduce ad Abbeville, incatenato. Riassumo. Arriva l’ora mostruosa. Si comincia sottoponendo il cavaliere di Labarre alla tortura ordinaria e straordinaria per fargli confessare i suoi complici; complici di che ? di esser passati su un ponte e di aver cantato una canzone; gli si brucia un ginocchio nella tortura; il suo confessore, sentendo rompersi le ossa, scompare; il giorno dopo, il 5 giugno 1766, si trascina Labarre nella piazza grande di Abbeville; lì arde un rogo; si legge la sentenza a Labarre, poi gli si tronca la mano, poi gli si strappa la lingua con una tenaglia di ferro, poi, per grazia, gli si tronca la testa e la si getta nel rogo. Così morì il cavalier de Labarre. Aveva diciannove anni.
Allora, o Voltaire, tu lanciasti un grido di orrore, e ciò sarà la tua gloria eterna!
Allora tu iniziasti lo spaventoso processo del passato, tu perorasti contro i tiranni e i mostri la causa del genere umano, e tu la vincesti. Grande uomo, che tu sia sempre benedetto !
Signori, le cose spaventose che ho appena ricordato avvenivano all’interno di una società in cui la vita era gaia e leggera, si andava e veniva, non si guardava né al di sopra, né al di sotto di se stessi, l’indifferenza si risolveva in spensieratezza, dei poeti graziosi, Saint-Aulaire, Boufflers, Gentil-Bernard, componevano versi piacevoli, la corte era piena di feste, Versailles splendeva, Parigi ignorava; e durante questo tempo, per ferocia religiosa, i giudici facevano morire un vecchio sulla ruota e i preti strappavano la lingua a un ragazzo per una canzone.
In presenza di questa società frivola e lugubre, Voltaire, solo, vedendo davanti a sé tutte queste forze riunite, la corte, la nobiltà, la finanza, questa autorità incosciente, questa moltitudine cieca; questa spaventosa magistratura, così oppressiva nei confronti degli individui soggetti, così docile al padrone, opprimente ed adulante, in ginocchio sopra il popolo davanti al re; questo clero che mescolava in modo sinistro ipocrisia e fanatismo, Voltaire, solo, lo ripeto, dichiarò guerra a questa coalizione di tutte le ingiustizie sociali, a questo mondo enorme e terribile e accettò la battaglia. E qual’era la sua arma? Quella che ha la leggerezza del vento e la potenza del fulmine. Una piuma.
Con quest’arma ha combattuto, con quest’arma ha vinto. Signori, salutiamo questo ricordo.
Voltaire ha vinto, Voltaire ha fatto la guerra radiosa, la guerra di uno solo contro tutti, vale a dire la grande guerra. La guerra del pensiero contro la materia, la guerra della ragione contro il pregiudizio, la guerra del giusto contro l’ingiusto, la guerra per l’oppresso contro l’oppressore, la guerra della bontà, la guerra della dolcezza. Egli ha avuto la tenerezza di una donna e la collera di un eroe. E’ stato un grande spirito e un cuore immenso.
Egli ha vinto il vecchio codice e il vecchio dogma. Ha vinto il signore feudale, il giudice gotico, il prete romano. Ha elevato il popolaccio alla dignità di popolo. Ha insegnato, pacificato e civilizzato. Ha combattuto per Sirven e Montbailly come per Calas e Labarre; ha accettato tutte le minacce, tutti gli oltraggi, tutte le persecuzioni, la calunnia, l’esilio. E’ stato infaticabile e irremovibile. Ha vinto la violenza con il sorriso, il dispotismo con il sarcasmo, l’infallibilità con l’ironia, la tenacia con la perseveranza, l’ignoranza con la verità.
Ho pronunciato questa parola, il sorriso, qui mi fermo. Il sorriso è Voltaire.
Diciamolo, signori, perché la pace interiore è il grande aspetto di ogni filosofo, in Voltaire l’equilibrio finì sempre per ristabilirsi. Quale che fosse la sua giusta collera, passava e il Voltaire irritato faceva sempre posto al Voltaire calmato. Allora, in quest’occhio profondo appariva il sorriso.
Questo sorriso è la saggezza. Questo sorriso, lo ripeto, è Voltaire. Questo sorriso arriva perfino sino al riso, ma la tristezza filosofica lo modera. Dalla parte dei forti è irridente; dalla parte dei deboli è carezzevole. Allarma l’oppressore e rassicura l’oppresso. Contro i grandi, la canzonatura; per i piccoli, la pietà. Ah! Siamo commossi da questo sorriso. Esso ha avuto la limpidezza dell’aurora. Ha illuminato il vero, il giusto, il buono e ciò che vi è di onesto nell’utile; ha portato la luce all’interno delle superstizioni; queste brutture sembrano belle a vedersi; le ha mostrate per quel che sono. Essendo illuminato, è stato fecondo. La società nuova, il desiderio di eguaglianza e di concessione e questo inizio di fraternità che si chiama la tolleranza, la buona volontà reciproca, il riconoscimento della proporzione tra uomini e diritti, la ragione riconosciuta come legge suprema, la cancellazione dei pregiudizi e dei partiti presi, la serenità delle anime, lo spirito di indulgenza e di perdono, l’armonia, la pace, ecco cosa è uscito da questo grande sorriso.
Il giorno, senza alcun dubbio vicino, in cui sarà riconosciuta l’identità della saggezza e della clemenza, in cui sarà proclamata l’amnistia (n.d.t.*Hugo si riferiva ai condannati della Comune di Parigi), io affermo, là in alto, nelle stelle, Voltaire sorriderà.
Signori, vi è un rapporto misterioso tra due servitori dell’umanità che sono apparsi a milleottocento anni di distanza di intervallo.
Combattere il fariseismo, smascherare l’impostura, atterrare le tirannie, le usurpazioni, i pregiudizi, le menzogne, le superstizioni, demolire il tempio a costo di ricostruirlo, cioè a dire rimpiazzare il falso con il vero, attaccare la magistratura feroce, attaccare il sacerdozio sanguinario, prendere una frusta e cacciare i venditori dal santuario, reclamare l’eredità dei diseredati, proteggere i deboli, i poveri, i sofferenti, gli esclusi, lottare per i perseguitati e gli oppressi; è la guerra di Gesù Cristo; e qual è l’uomo che ha fatto questa guerra? E’ Voltaire.
L’opera evangelica ha come complemento l’opera filosofica; lo spirito di indulgenza ha cominciato, lo spirito di tolleranza ha continuato; diciamolo con un sentimento di profondo rispetto, Gesù ha pianto, Voltaire ha sorriso, ed è di questa lacrima divina e di questo sorriso umano che è fatta la dolcezza della civiltà attuale.
Voltaire ha sempre sorriso? No. Egli si è spesso indignato. L’avete constatato nelle mie prime parole.
Certamente, signori, la misura, la riservatezza, la proporzione, è la legge suprema della ragione. Si può dire che la moderazione è il respiro stesso del filosofo. Lo sforzo del saggio deve essere indirizzato a condensare in una sorta di serena certezza tutti i pressapochismi che compongono la filosofia. Ma in certi momenti la passione del vero si leva potente e violenta, ed è nel suo diritto come i grandi venti che risanano. Mai, insisto, alcun saggio scuoterà questi due solenni punti di sostegno del lavoro sociale, la giustizia e la speranza, e tutti rispetteranno il giudice se incarna la giustizia, così come venereranno il prete se rappresenta la speranza. Ma se la magistratura fa ricorso alla tortura, se la Chiesa fa ricorso all’Inquisizione, allora l’umanità li guarda in faccia e dice al giudice: non voglio saperne della tua legge ! e dice al prete: non voglio saperne del tuo dogma! Non voglio saperne del tuo rogo sulla terra e del tuo inferno nel cielo! E’ allora che il filosofo indignato si leva, e denuncia il giudice alla giustizia, e denuncia il prete a Dio !
E’ quello che ha fatto Voltaire.Egli è grande.
Ciò che è stato Voltaire, l’ho detto; ciò che è stato il suo secolo, lo dirò ora.
Signori, i grandi uomini sono raramente soli; i grandi alberi sembrano più grandi quando dominano una foresta; vi è una foresta di spiriti attorno a Voltaire; questa foresta è il diciottesimo secolo. Tra questi spiriti, vi sono delle vette, Montesquieu, Buffon, Beaumarchais, e due fra gli altri, i più alti dopo Voltaire,- Rousseau e Diderot. Questi pensatori hanno insegnato agli uomini a ragionare; ragionare bene porta ad agire bene, l’esattezza nello spirito diviene la giustizia nel cuore. Questi operai del progresso hanno lavorato in modo utile. Buffon ha fondato il naturalismo; Beaumarchais ha trovato, al di là di Molière, una commedia sconosciuta, quasi la commedia sociale; Montesquieu ha fatto nella legge degli scavi così profondi che è riuscito a riesumare il diritto. Quanto a Rousseau e Diderot, pronunciamo questi due nomi a parte; Diderot, vasta intelligenza curiosa, cuore tenero assetato di giustizia, ha voluto dare le nozioni certe come basi per le idee vere, e ha creato l’Encyclopédie; Rousseau ha reso alla donna un ammirevole servizio, ha completato la madre con l’educatrice, ha messo l’una vicina all’altra queste due maestà della culla; Rousseau, scrittore eloquente e patetico, profondo sognatore ed oratore, ha spesso intuito e proclamato la verità politica; il suo ideale confina col reale; egli ha avuto la gloria di essere il primo in Francia a chiamarsi cittadino; in Rousseau vibra la fibra civica; in Voltaire ciò che vibra è la fibra universale. Si può dire che, in questo fecondo diciottesimo secolo, Rousseau rappresenta il Popolo; Voltaire, più vasto ancora, rappresenta l’Uomo. Questi potenti scrittori sono scomparsi, ma ci hanno lasciato la loro anima, la Rivoluzione.
Sì, la Rivoluzione francese è la loro anima. E’ la loro espressione radiosa. Viene da loro; li si ritrova dovunque in questa catastrofe benedetta e superba che ha marcato la conclusione del passato e l’inizio dell’avvenire. In questa trasparenza che è propria alle rivoluzioni, e che attraverso le cause lascia intravvedere gli effetti e attraverso il primo il secondo piano, si vede dietro Diderot Danton, dietro Rousseau Robespierre e dietro Voltaire Mirabeau. Questi hanno prodotto quelli.
Signori, riassumere delle epoche in nomi di uomini, denominare dei secoli, farli divenire in qualche modo dei personaggi umani, ciò è stato dato solamente a tre popoli, la Grecia, l’Italia, la Francia. Si dice il secolo di Augusto, il secolo di Leone X, il secolo di Luigi XIV,il secolo di Voltaire. Queste denominazioni hanno un grande significato. Questo privilegio, dare dei nomi a dei secoli, esclusivamente proprio alla Grecia, all’Italia ed alla Francia è il più alto segno di civilizzazione. Fino a Voltaire, sono nomi di capi di stato; Voltaire è più che un capo di stato, è un capo di idee. Con Voltaire comincia un nuovo ciclo. Si avverte che ormai la potenza suprema che ha il governo del genere umano sarà il pensiero. La civilizzazione obbediva alla forza, esso obbedirà all’ideale. E’ la rottura dello scettro e della spada, rimpiazzati dalla ragione; cioè a dire l’autorità trasfigurata in libertà. Non più altra sovranità che la legge per il popolo e la coscienza per l’individuo. Per ciascuno di noi, i due aspetti del progresso si manifestano nettamente, ed eccoli: esercitare il proprio diritto, cioè a dire essere un uomo; compiere il proprio dovere, cioè a dire essere un cittadino.
E’ proprio questo il significato dell’ espressione il secolo di Voltaire; tale è il senso di questo augusto evento, la Rivoluzione francese.
I due secoli memorabili che avevano preceduto il diciottesimo l’avevano preparato; Rabelais avvertì la monarchia in Gargantua, e Molière avvertì la Chiesa nel Tartufo. L’odio della forza e il rispetto del diritto sono visibili in questi due spiriti illustri.
Chiunque oggi dice: la forza primeggia sul diritto, compie un atto da medioevo, e parla agli uomini di trecento anni fa.
Signori, il diciannovesimo secolo glorifica il diciottesimo secolo. Il diciottesimo propone, il diciannovesimo conclude. E la mia ultima parola sarà la constatazione tranquilla, ma inflessibile del progresso.
I tempi sono arrivati. Il diritto ha trovato la sua formula: la federazione umana.
Oggi, la forza fa appello alla violenza e comincia ad essere giudicata, la guerra è messa in stato di accusa; la civilizzazione, sulla base della denuncia del genere umano, istruisce il processo ed erige il grande dossier criminale dei conquistatori e dei condottieri. Viene chiamato il testimone, la storia. Appare la realtà. Le cortine di nebbia artificiose si dissolvono. Nella più parte dei casi, l’eroe è una varietà dell’assassino. I popoli arrivano a comprendere che l’accentuazione di una mancanza non può significarne la diminuzione, che se uccidere è un crimine, uccidere di più non può esserne una circostanza attenuante, che se rubare è una vergogna invadere non può essere una gloria, che i Tedeum non rendono grandi questi atti, che l’omicidio è l’omicidio, che il sangue versato è il sangue versato, che non serve a niente chiamarsi Cesare o Napoleone, e che agli occhi di Dio eterno nulla cambia nella figura dell’assassino se al posto di un berretto da forzato gli si mette sulla testa una corona di imperatore.
Ah! Proclamiamo le verità assolute. Togliamo ogni onore alla guerra. No,non esiste la gloria insanguinata. No, non è possibile che la vita lavori per la morte. No, o madri che mi attorniate, non è possibile che la guerra, questa ladra, continui a prendersi i vostri figli. No, non è possibile che la donna partorisca nel dolore, che gli uomini nascano, che i popoli coltivino e seminino, che il contadino renda fertile i campi e che l’operaio fecondi le città, che i pensatori meditino, che l’industria produca meraviglie, che il genio crei prodigi, che la vasta attività umana moltiplichi gli sforzi e le creazioni in presenza del cielo stellato per arrivare poi alla fine a questa orrenda esposizione internazionale che viene chiamata un campo di battaglia!
Il vero campo di battaglia, eccolo qui. E’ l’incontro dei capolavori del lavoro umano che Parigi offre al mondo in questo momento.
La vera vittoria è la vittoria di Parigi.
Ahimè! Non si può nasconderlo, l’ ora attuale, per quanto degna sia di ammirazione e di rispetto, ha ancora dei lati funebri; vi sono ancora tenebre all’orizzonte; la tragedia dei popoli non è finita; la guerra, la guerra scellerata, è ancora presente, ed ha l’audacia di alzare la testa attraverso questa augusta festa della pace. I principi, da due anni, si ostinano in un comportamento insensato funesto, la loro discordia crea ostacolo alla nostra concordia e seguendo la loro cattiva ispirazione ci condannano alla constatazione di un tale contrasto.
Che questo contrasto ci riporti a Voltaire. In presenza di rischi minacciosi, dobbiamo essere più che mai rivolti alla pace. Volgiamoci verso questo grande spirito morto, ma più che mai vivo. Inchiniamoci davanti ai venerabili sepolcri. Domandiamo consiglio a colui la cui vita utile agli uomini si è spenta cent’anni fa, ma la cui opera è immortale. Domandiamo consiglio agli altri possenti pensatori, agli ausiliari di questo glorioso Voltaire, a Jean-Jacques, a Diderot, a Montesquieu. Diamo la parola a queste grandi voci. Arrestiamo lo spargimento di sangue umano. Basta! Basta! Despoti. Ah! La barbarie persiste. Ebbene, che la filosofia protesti. La spada si accanisce, che la civiltà si indigni. Che il diciottesimo secolo venga in soccorso del diciannovesimo; i filosofi nostri predecessori sono gli apostoli del vero, invochiamo questi fantasmi illustri; che, davanti alle monarchie che sognano le guerre, essi proclaminino il diritto dell’uomo alla vita, il diritto della coscienza alla libertà, la sovranità della ragione, la santità del lavoro,la bontà della pace; e, dato che dai troni esce la notte, dalle tombe esca la luce!

sabato 15 agosto 2009

GARIBALDI E VICTOR HUGO












La vera grande storia a volte riceve impulso da grandi uomini, che sono espressione del popolo e lo rappresentano in situazioni a volte drammatiche.
In questi casi non bisogna aver paura della retorica, ma raccontare e ricordare.
Nel 1871 la Francia è invasa dalle truppe prussiane. Garibaldi in nome dei suoi ideali di libertà dimentica l'annessione francese della sua patria (Nizza) operata per accordo tra Vittorio Emanuele III e Luigi Napoleone e forma un esercito di volontari che accorre in difesa della Francia. Le truppe francesi soccombono, ma i garibaldini riportano l'unica vittoria francese a Digione.
Cade Napoleone III e rientra dall'esilio ventennale Victor Hugo accolto da un mare di folla. Viene eletta un'assemblea francese che si riunisce a Bordeaux. I risultati del dipartimento di Parigi (Seine) con iscritti 545.605 elettori sono i seguenti (ai primi tre posti):
Louis Blanc 216.471 voti, Victor Hugo 214.169 voti e Garibaldi 200.065 voti.
Si riunisce l'assemblea dominata dalla destra. I rappresentanti della destra, inscenando una gazzarra vergognosa, chiedono che Garibaldi sia escluso perchè non è francese.
Si alza Victor Hugo e domanda la parola.Dice:
"La Francia è appena passata per fasi terribili da cui è uscita sanguinante e vinta: essa non ha incontrato altro che la vigliaccheria dell'Europa. La Francia ha sempre preso in mano la causa dell'Europa, ma nè un re, nè una potenza si è levata per difenderla. Solo un uomo è intervenuto.Le potenze, come ho detto, non sono intervenute; ebbene un uomo è intervenuto, e quest'uomo è una potenza. La sua spada aveva già liberato un popolo e poteva salvarne un altro. Egli l'ha pensato, è venuto, ha combattuto e, di tutti i generali francesi impegnati in questa guerra, è il solo che non è stato sconfitto! Io domando la convalida dell'elezione di Garibaldi"
Il tumulto diviene sempre più violento. Garibaldi non può parlare, viene insultato e accusato di non essere venuto a difendere la Francia, ma "la sua Repubblica universale"
Victor Hugo dichiara:"avete rifiutato di ascoltare Garibaldi e rifiutate di ascoltare anche me. Questo per me è sufficiente. Io rassegno le mie dimissioni" Lascia l'assemblea e nonostante le insistenze non vi ritorna.
Garibaldi poco dopo scrive:
"Mio caro Victor Hugo.
avrei dovuto già prima darvi un segno di gratitudine per l'immenso onore di cui mi avete fregiato all'assemblea di Bordeaux. Senza bisogno di manifestazioni scritte, le nostre anime si sono tuttavia ben intese, la vostra per il fatto di avere ben operato, la mia per l'amicizia e la riconoscenza che vi debbo da molto tempo.
Il titolo che mi avete assegnato a Bordeaux è sufficiente per tutta un'esistenza votata alla sacra causa dell'umanità, di cui voi siete il primo apostolo".
Questa era la grandezza degli uomini e degli ideali progressisti dell'Ottocento. Impariamo da loro nella nostra miseria di oggi.

INTRODUZIONE




Gramsci diceva che la verità è rivoluzionaria. Ma la verità sulla sua stessa vicenda è stata nascosta. La figura di Michael Gaismair, uno dei capi delle guerre contadine del 500, è ignorata o travisata e questo vale in genere in ogni caso in cui le classi subalterne sono riuscite a contrastare il potere di quelle dominanti. La storia è soggetta a continue revisioni e manipolazioni in funzione degli interessi del potere. Specialmente la storia dei movimenti e delle lotte per la trasformazione della società viene spesso nascosta o grossolanamente adulterata. Nel nostro periodo di restaurazione poi le falsità sono all'ordine del giorno. Il risultato è una sistematica deformazione del passato, che è come un taglio di parte di noi stessi. Senza conoscere il passato non si può comprendere il presente e di fronte ad eventi di portata storica come l'attuale crisi mondiale del sistema mancano la coscienza collettiva e gli strumenti per operare le necessarie trasformazioni.Non penso certo con un modesto blog di porre rimedio a questa situazione. Spero di poter aprire qualche barlume di verità su fatti e vicende sconosciuti, nascosti o deformati e confido nella collaborazione di chi disinteressatamente vorrà partecipare.